Da un anno circa, ormai, anche in Italia la maggior parte del traffico web ormai è mobile e passa per social network e app, oltre o piuttosto che per portali e motori di ricerca.
Possono le aziende permettersi di ignorare i social network?
Ovvero, invertendo il senso della domanda, quanto possono guadagnare dalla comunicazione sui social le aziende, anche piccole o artigianali o personali?
Dipende da cosa fanno, a chi vogliono rivolgersi (target) e quali sono i social network.
Vediamo un po’ di dati, facilmente reperibili su internet, ma che ci danno con immediatezza il quadro della situazione.
Il 58% della popolazione italiana usa Internet.
Il 42% della popolazione italiana usa Facebook attivamente.
I due dati non sono poi così distanti.
Stiamo parlando di 26 milioni di utenti Facebook su 35 milioni di utenti internet totali. Non si può dire certo che Facebook sia un gioco da ragazzi!
I mobile device (smart-phone, tablet ecc) usati per navigare sono oltre 97 milioni, con una penetrazione del 158% della popolazione: ovvero mediamente più di uno a testa, perché molti hanno telefono privato e aziendale più il tablet ecc.
I social network più utilizzati nell’ordine sono: Facebook, Google Plus, Twitter, LinkedIn e poi gli altri molto distanziati per diffusione.
Diamo però un’occhiata nella sostanza a classi di età e interessi specifici.
A seconda del target dell’azienda può essere quindi molto più importante un approccio mirato su Pinterest e Instagram - penso per esempio a settori come la moda o l’arredamento o l'edilizia dove la fotografia fa tantissimo - piuttosto che generalista su Facebook.
LinkedIn per esempio è diventato un vero e proprio strumento di lavoro per interi settori e professioni: HR, agenti e rappresentanti, professionisti di varie aree di competenza costruiscono gruppi, si cercano e incontrano, scambiano idee nei gruppi, mettono a disposizione contenuti, trovano clienti e talvolta avviano affari o selezioni attraverso questa rete.
Su Google Plus invece si possono creare delle cerchie tematiche molto interessanti e attive. Segnalo per esempio quella dei food bloggers. Inoltre i +1 di Google Plus sono molto importanti per il posizionamento su Google, quindi la gestione di questo social medium è da valutare anche in ottica SEO.
Twitter va benissimo per chi ha da comunicare brand o personal brand con una chiara e forte personalità. Funziona su temi scottanti e se si è in grado di fare una comunicazione brillante e/o provocatoria.
Qualche avvertenza importante:
1) Ogni social network va gestito secondo le caratteristiche sue proprie: con testi, foto, toni e hashtag commisurati al canale e ai suoi utenti target. Gestirne tanti significa dedicare molto tempo. Se, com’è prevedibile, la risorsa è scarsa si scelga oculatamente. È bruttissimo lasciare pagine non presidiate o utilizzare male strumenti di diffusione multi canale che replicano i messaggi automaticamente. Non è la stessa cosa che fare un lavoro ad hoc e non si ottengono quindi i risultati voluti.
2) I social network non sono giocattoli. Ogni post è come una pubblica affissione, una scritta in piazza. E rimarrà per sempre (o quasi – facciamo finta di sì). Non cadiamo nella trappola mentale dei cyberbulli di dodici anni “eh, ma l’ho solo scritto su facebook”. È come aver dato un’intervista alla RAI! Nel mondo del web stanno così le cose. Se gestiamo pagine professionali, facciamolo in modo professionale. Lo sgambetto è dietro l’angolo, non prendiamo spunto da certe personalità in vista che commettono una gaffe dietro l’altra.
3) Ha senso avviare un lavoro sui social se non c'è un sito ben fatto, ricco di contenuti e soprattutto mobile-friendly alle spalle? In qualche (raro) caso sì, per micro-attività fortemente personali (anche se comunque è meglio avere almeno un blog), ma per le aziende no, non ha proprio senso.
A mio avviso il sito dovrebbe essere il collettore della comunicazione, la base da cui partono gli input mentre il/i social rappresentano i luoghi del colloquio, dello scambio con i clienti o possibili clienti/fornitori o comunque gli stakeholders in generale.
4) Contenuti di qualità: è il must. Belle foto, testi brevi e utili o simpatici; video video video! Corti, funzionali, magari autoironici, di qualità estetica elevata e distintivi.
5) Continuità di presenza e tempi: senza essere ossessionati dall'h24, si consideri che le risposte sui social vanno date e vanno date entro tempi brevi (12 ore? 6 ore? Comunque uno si aspetta risposta entro la giornata e se si tratta di uno straniero non pensa al fuso orario e/o alle festività locali). I post vanno pubblicati cum grano salis (non troppi non troppo pochi) monitorando l'interesse del proprio target con gli strumenti di statistica. Non credete a coloro che vi danno i numeri magici o gli orari perfetti. Valutate chi sono i vostri follower e cosa vogliono da voi.
Possiamo stare fuori dai social media?
Sì, come possiamo evitare di stampare depliant, di andare alle fiere di settore o di avere un sito internet o di salutare il nostro prossimo.
Ci si può permettere tutto, salvo pagarne il prezzo. E un prezzo c’è anche per esserci.
Chiara Tonon
Possono le aziende permettersi di ignorare i social network?
Ovvero, invertendo il senso della domanda, quanto possono guadagnare dalla comunicazione sui social le aziende, anche piccole o artigianali o personali?
Dipende da cosa fanno, a chi vogliono rivolgersi (target) e quali sono i social network.
Vediamo un po’ di dati, facilmente reperibili su internet, ma che ci danno con immediatezza il quadro della situazione.
Il 58% della popolazione italiana usa Internet.
Il 42% della popolazione italiana usa Facebook attivamente.
I due dati non sono poi così distanti.
Stiamo parlando di 26 milioni di utenti Facebook su 35 milioni di utenti internet totali. Non si può dire certo che Facebook sia un gioco da ragazzi!
I mobile device (smart-phone, tablet ecc) usati per navigare sono oltre 97 milioni, con una penetrazione del 158% della popolazione: ovvero mediamente più di uno a testa, perché molti hanno telefono privato e aziendale più il tablet ecc.
I social network più utilizzati nell’ordine sono: Facebook, Google Plus, Twitter, LinkedIn e poi gli altri molto distanziati per diffusione.
Diamo però un’occhiata nella sostanza a classi di età e interessi specifici.
A seconda del target dell’azienda può essere quindi molto più importante un approccio mirato su Pinterest e Instagram - penso per esempio a settori come la moda o l’arredamento o l'edilizia dove la fotografia fa tantissimo - piuttosto che generalista su Facebook.
LinkedIn per esempio è diventato un vero e proprio strumento di lavoro per interi settori e professioni: HR, agenti e rappresentanti, professionisti di varie aree di competenza costruiscono gruppi, si cercano e incontrano, scambiano idee nei gruppi, mettono a disposizione contenuti, trovano clienti e talvolta avviano affari o selezioni attraverso questa rete.
Su Google Plus invece si possono creare delle cerchie tematiche molto interessanti e attive. Segnalo per esempio quella dei food bloggers. Inoltre i +1 di Google Plus sono molto importanti per il posizionamento su Google, quindi la gestione di questo social medium è da valutare anche in ottica SEO.
Twitter va benissimo per chi ha da comunicare brand o personal brand con una chiara e forte personalità. Funziona su temi scottanti e se si è in grado di fare una comunicazione brillante e/o provocatoria.
Qualche avvertenza importante:
1) Ogni social network va gestito secondo le caratteristiche sue proprie: con testi, foto, toni e hashtag commisurati al canale e ai suoi utenti target. Gestirne tanti significa dedicare molto tempo. Se, com’è prevedibile, la risorsa è scarsa si scelga oculatamente. È bruttissimo lasciare pagine non presidiate o utilizzare male strumenti di diffusione multi canale che replicano i messaggi automaticamente. Non è la stessa cosa che fare un lavoro ad hoc e non si ottengono quindi i risultati voluti.
2) I social network non sono giocattoli. Ogni post è come una pubblica affissione, una scritta in piazza. E rimarrà per sempre (o quasi – facciamo finta di sì). Non cadiamo nella trappola mentale dei cyberbulli di dodici anni “eh, ma l’ho solo scritto su facebook”. È come aver dato un’intervista alla RAI! Nel mondo del web stanno così le cose. Se gestiamo pagine professionali, facciamolo in modo professionale. Lo sgambetto è dietro l’angolo, non prendiamo spunto da certe personalità in vista che commettono una gaffe dietro l’altra.
3) Ha senso avviare un lavoro sui social se non c'è un sito ben fatto, ricco di contenuti e soprattutto mobile-friendly alle spalle? In qualche (raro) caso sì, per micro-attività fortemente personali (anche se comunque è meglio avere almeno un blog), ma per le aziende no, non ha proprio senso.
A mio avviso il sito dovrebbe essere il collettore della comunicazione, la base da cui partono gli input mentre il/i social rappresentano i luoghi del colloquio, dello scambio con i clienti o possibili clienti/fornitori o comunque gli stakeholders in generale.
4) Contenuti di qualità: è il must. Belle foto, testi brevi e utili o simpatici; video video video! Corti, funzionali, magari autoironici, di qualità estetica elevata e distintivi.
5) Continuità di presenza e tempi: senza essere ossessionati dall'h24, si consideri che le risposte sui social vanno date e vanno date entro tempi brevi (12 ore? 6 ore? Comunque uno si aspetta risposta entro la giornata e se si tratta di uno straniero non pensa al fuso orario e/o alle festività locali). I post vanno pubblicati cum grano salis (non troppi non troppo pochi) monitorando l'interesse del proprio target con gli strumenti di statistica. Non credete a coloro che vi danno i numeri magici o gli orari perfetti. Valutate chi sono i vostri follower e cosa vogliono da voi.
Possiamo stare fuori dai social media?
Sì, come possiamo evitare di stampare depliant, di andare alle fiere di settore o di avere un sito internet o di salutare il nostro prossimo.
Ci si può permettere tutto, salvo pagarne il prezzo. E un prezzo c’è anche per esserci.
Chiara Tonon
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